Scrittura sul web: chiacchierando con Luisa Carrada


Il mestiere di scrivere” non è solo una frase a cui web-writer e copywriter sono molto legati. E’ anche – e proprio gli scrittori della rete lo sapranno bene 🙂 – il titolo del libro di Luisa Carrada, una dei principali punti di riferimento sul web, in particolar modo con il suo blog, per chi lavora ogni giorno con le parole.

Ed è proprio Luisa Carrada la graditissima ospite dello spazio del gt Magazine dedicato al mondo della scrittura in rete. A voi l’intervista, che ho realizzato anche grazie all’aiuto prezioso (e all’entusiasmo) di Beatrice Niciarelli

Il mestiere di scrivere

Il 2003 è l’anno in cui ha aperto il blog. Sono passati nove anni. Quali sono stati i cambiamenti che hanno riguardato la scrittura aziendale?

Sembra un secolo. I blogger ci sono ancora, ma siamo tanti di meno e usiamo il nostro spazio in modo diverso. Probabilmente meglio perché lo dedichiamo più alle opinioni e agli approfondimenti che alle segnalazioni.
Per le aziende è cambiato assai di più. I blog, alla lunga, si sono rivelati importanti soprattutto per le piccole aziende, dove mercati e prodotti di nicchia si giovano di più della possibilità di raccontare i prodotti, chi li fa, e tutto il mondo che ruota loro attorno attraverso la viva voce e il punto di vista di chi ci lavora ogni giorno. Quello che mi sembra cambiato per tutti è invece lo stile di scrittura. Per fortuna, lo “stile istituzionale”, impersonale e autoreferenziale, non lo vuole più nessuno. Anche in un sito internet e in un blog, l’influenza dei social media si fa sentire, nel senso di una maggiore vicinanza al lessico e ai ritmi della lingua parlata. Testi un po’ più brevi, più semplici, negli esiti migliori anche più brillanti.

Da giovanissimo, ho conosciuto la parte della scrittura online legata ai social network, alla condivisione quasi perenne dei contenuti. Come considera questo aspetto nel suo lavoro? Qual è l’influsso delle nuove tecnologie – dai social network, sino alle app mobile?

La scrittura legata ai social network e alla condivisione dei contenuti influenza tutti, non solo i nativi digitali, ma anche chi come me ha “i piedi in due mondi”. Stare perennemente “nel flusso” mentre si lavora ha vantaggi e svantaggi.

È un apporto impagabile in termini di informazioni, di suggestioni, di contatti con gli altri. Sapere di prima mattina cosa hanno scritto i principali giornali del mondo sui temi che ti interessano, vedere che qualcuno ha li ga già commentati, leggere cosa hanno scritto i blogger statunitensi mentre tu dormivi o sapere da Twitter cosa si prepara per la giornata ti riempie di idee e spunti per il tuo lavoro.

Ma poi, quando ti metti concretamente a scrivere, un po’ devi essere capace di staccare perché una volta che ha immagazzinato, la mente ha bisogno dei suoi vuoti e dei suoi tempi per elaborare. E quelli dobbiamo saperceli prendere. Così come i tempi per leggere testi più lunghi e complessi.

Scegliere, comprare e leggere libri oggi è molto più semplice. Io, per esempio, ne compro tanti più di prima. Magari non riesco a leggerli tutti, ma per chi scrive sono necessari sia l’intelligenza collettiva che può nascere dalla condivisione in rete, sia i pensieri che una singola persona ha distillato in parole lungo molto tempo e in completa solitudine. Che poi queste parole le leggiamo sulla carta o su un tablet non fa alcuna differenza.

In che misura, in base alla sua esperienza, le aziende si rendono conto di dover affidare la comunicazione a dei professionisti? Quanto pesa, per le aziende italiane e per chi le gestisce, la comunicazione?

Dipende dal tipo di aziende. La comunicazione è diventata molto più importante per tutte, dalle grandi, esposte a una concorrenza agguerrita, alle piccole, che hanno opportunità per far conoscere e vendere i propri prodotti impensabili solo fino a qualche anno fa.

Allo stesso tempo c’è però anche la consapevolezza che la comunicazione non la fanno solo i professionisti d’azienda o i consulenti, ma ogni singola persona che in azienda lavora. Dall’ufficio acquisti che scrive al fornitore agli addetti al customer care che rispondono sui social media, fino a ogni dipendente che scrive, posta un video o commenta sull’intranet aziendale.

Lavorare con le parole: tecnicismi e trucchi del mestiere, oppure magia e fortuna nel poter modellare il linguaggio ogni giorno? Esiste un’alchimia tra queste componenti?

Nessuna di queste cose, direi. La parola “trucchi” non mi piace, la parola “magia” sì, e se qualche volta i testi riescono a sprigionarla non è in virtù dei trucchi, ma dell’attenzione, della cura e della capacità di chi scrive di mettersi nei panni del lettore-cliente e di saper scegliere le parole che sanno parlare alla sua intelligenza e alle sue emozioni.

Mi corregga se sbaglio: per lei quotidiani cartacei soltanto la domenica. E per gli altri? Mi spiego: qual è il destino dell’editoria italiana su carta?

Sono solo una lettrice, non un’esperta di editoria. Per quanto mi riguarda, le notizie le ottengo ormai online e non sento il bisogno di andarmi a comprare il giornale.
È vero, lo compro la domenica, perché ho più tempo e allora apprezzo anche altre cose, oltre al testo: l’impaginazione, le infografiche, le illustrazioni, l’insieme di articoli diversi su uno stesso tema. Insomma, a un giornale di carta chiedo che sia anche ricco e “bello”.

Ma è una cosa che sta succedendo anche con i libri: quelli di carta diventano più grandi e più curati.

Il libro “Il mestiere di scrivere” è frutto di un’idea o di una necessità?

Tutte e due le cose. Quando un’idea si fa strada, cresce e matura, alla fine scrivere un libro diventa una necessità. Una necessità anche per una persona come me, che prova un gran gusto a scrivere post e tweet. E oggi, che di informazioni ne abbiamo tante e subito disponibili, a un libro chiediamo di più: una tesi, una struttura forte, uno stile originale. Cose importanti per il lettore, ma anche per l’autore: scrivere un libro significa concedersi uno spazio di riflessione in cui non si organizza solo quello che si sa, ma si va alla scoperta di ciò che ancora non si sa e che si apprende man mano che si scrive.

Ogni tanto a questa necessità non si sfugge, e infatti tra pochi mesi arriva un nuovo libro…

Si parla tanto di lavoro, di posti fissi e via dicendo. Consiglierebbe ad un giovane, oggi come oggi, di puntare sul settore – professionale, più che universitario – della comunicazione?

Se sente di essere portato, perché no? Ma attenzione: qui davvero ci vogliono curiosità e desiderio di cambiare, di vedere cose nuove e di rimettersi spesso in gioco. Sfruttamento e precarietà sono cose che non aiutano nessuno, in nessun lavoro, ma nella comunicazione – posso dirlo? – non aiuta nemmeno l’attaccamento spasmodico allo stesso posto.

Sintesi, creatività, semplicità. Se dovesse sceglierne una soltanto?

Creatività, perché contiene anche le altre due. Ma la creatività non è un dono degli dei, che si riceve dal cielo. Scaturisce dallo studio, dalla curiosità e dalla passione per ciò che si fa. Come scrive una che se ne intende, Annamaria Testa, la creatività è produrre qualcosa di “nuovo e utile”. Un testo che funziona, in virtù della sua funzionalità, probabilmente sarà anche piacevole ed elegante.

Sul suo blog segnala, tra le tante risorse: “L’usabilità delle parole”, scritto da Yvonne Bindi. Usabilità, ovvero “spianare la strada al nostro utente, lettore, cliente”. quali differenze dovrebbe avere un testo usabile per un blog aziendale rispetto a uno che si basa sulla vendita di prodotti e servizi? Possono valere i tecnicismi nel secondo, rispetto al primo? 

Non credo siano i termini tecnici o meno a rendere un testo più usabile rispetto a un altro. Un testo è usabile quando le parole sono precise, concrete, chiare, vicine all’esperienza di chi legge, ben disposte nello spazio. Anche un blog aziendale serve a far conoscere prodotti e servizi, e quindi a venderli. Le parole tecniche possono stare anche lì, magari con il vantaggio di poter essere spiegate, illustrate, raccontate attraverso un’esperienza concreta, un particolare punto di vista.

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