Sono passati solo pochi giorni dall’entrata in scena di #VeryBello, un insuccesso (almeno per ora) tutto italiano. Tanti professionisti hanno detto la loro, creando sui social network un tam-tam di opinioni e critiche più o meno costruttive. Questo articolo non sarà l’ennesima presa di posizione legata al progetto, ma è un’analisi di come la base di ogni lavoro di successo manchi totalmente nel panorama politico italiano: la comunicazione.
I social network sono ormai entrati di diritto tra i mezzi di comunicazione più utilizzati, anche in Italia. Abbiamo un governo che ha scelto di puntare molto sull’aspetto digitale del proprio Paese, tanto da creare i famosi Digital Champions, figure professionali che hanno il compito di portare avanti (in ogni comune) questa rivoluzione digitale, avviata già troppo in ritardo. Ormai leggiamo le notizie su internet, acquistiamo spesso e-book invece di libri, mandiamo un messaggio utilizzando applicazioni piuttosto che il semplice sms. Siamo a tutti gli effetti una società digitale. Sì, noi (forse).
Ma come siamo messi sul piano politico? Chi ci governa sa comunicare attraverso i mezzi che internet ci mette a disposizione? I politici italiani usano davvero il web per ascoltare il popolo?
La comunicazione come base per l’ascolto
In qualsiasi momento della vita c’è bisogno di ascoltare, anche quando si comunica in privato, dentro le mura di casa propria. Se non c’è ascolto, non c’è dialogo. E se non c’è dialogo, non esiste comunicazione. Fatichiamo a farci capire, qualche volta, ma nonostante tutto ci proviamo. E se dall’altra parte chi dovrebbe ascoltarci volta lo sguardo o, ancora peggio, reagisce con presunzione, cade ogni presupposto per una convivenza civile.
Nel mondo politico questo concetto vale molto più che nelle altre sfere che compongono la società. Noi, come semplici cittadini, ci affidiamo a chi dovrebbe guidarci e chiediamo aiuto nel momento in cui ne abbiamo bisogno. Proviamo anche a dare consigli, a chiedere attenzione, a fare qualche critica costruttiva. Quello che ci aspettiamo indietro è solo l’ascolto.
Cosa succede quando si innesca questo processo nel mondo politico italiano? Possiamo vederlo con qualche esempio reale.
La supponenza non è la strada giusta
Uno dei casi che fa più discutere è quello del vice Presidente del Senato Gasparri.
Presente su Twitter con poco più di 50mila follower, la sua è una figura di spicco nel nostro governo. Ha un ruolo importante e proprio per questo è fondamentale che la sua comunicazione passi senza problemi dal politico al cittadino. Invece, quello che succede è l’esatto contrario: l’utilizzo del social network da parte del politico parte da basi totalmente sbagliate, che ricorrono il più delle volte alla maleducazione, alla supponenza e all’attacco.
Ecco un tweet di esempio:
In questo tweet di qualche mese fa, il vice Presidente del Senato offendeva gli inglesi. Tutti, nessuno escluso. In risposta al tweet, un normale cittadino emigrato risponde evidenziando il suo disagio nell’aver lasciato il Paese a causa di un futuro che non esiste. Un futuro che gli stessi politici potrebbero migliorare.
La risposta di Gasparri potete leggerla di seguito. Mi auguro che tutti siano d’accordo sul ritenere una risposta simile un vero danno per chi la comunicazione la vive e la utilizza per lavoro.
Mi sarebbe piaciuto vedere un Gasparri diverso, umano e comprensivo. Sarebbe bastata una risposta simile a “Hai ragione, non siamo riusciti a tenerti. Dovremo fare di più“. Basta, solo questo. Bastava l’ascolto, bastava togliersi dal ruolo di politico supponente e mettersi sul piano del normale cittadino. Bastava poco, eppure non è stato fatto. Bisogna far notare (oltre questa sbagliata comunicazione politico-cittadino) che Gasparri blocca i profili di chi prova a dialogare con lui proprio in merito al suo utilizzo di twitter. È questo che chiediamo ai nostri politici?
Se manca l’ascolto, manca il dialogo
Tornando a #VeryBello, ecco come Dario Franceschini, Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, risponde a chi fa notare i tanti errori presenti nel progetto appena presentato. Tra i migliaia di messaggi, tantissime critiche costruttive da cui poter imparare e tanti cittadini partecipi da cui ascoltare. E invece…
In 6 ore 500.000 accessi a https://t.co/CjBDPOEGxp ! Come speravamo grande pubblicità da ironie, critiche e cattiverie sul web… Verygrazie!
— Dario Franceschini (@dariofrance) 24 Gennaio 2015
Cosa avrei voluto leggere nel tweet di Franceschini? È semplice. Sarebbe bastato un “#VeryGrazie per i vostri messaggi, cercheremo di migliorare il progetto in base ai vostri suggerimenti!“. Punto.
Perché una risposta così semplice è tanto faticosa da scrivere, caro Ministro?
Non rispondere mai. Perché?
Dando uno sguardo nei vari social, ho voluto analizzare le risposte dei politici ai cittadini su Facebook. Con mio grande stupore ho notato che la maggior parte di loro non risponde mai a commenti o richieste varie sulla bacheca.
Perché?
Certo, non è possibile rispondere singolarmente a ogni cittadino, a volte i commenti sono migliaia e diventa davvero difficile dare una risposta a tutti. Ma perché non dare almeno qualche risposta ogni tanto oppure rispondere con un singolo post alla domanda più insistente dei cittadini?
A cosa vengono usati i social, se non per dialogare con i cittadini? In questo senso, diventano solo vuoti contenitori di propaganda politica, perdendo del tutto il ruolo di mezzi di comunicazione per cui sono stati creati.
Se conoscete politici che rispondono ai commenti, fatemelo notare. Sarò felice di citarli.
A cosa serve comunicare?
Il dialogo, in politica, è fondamentale perché permette al cittadini di esprimersi ed essere ascoltati e al politico di comprendere e migliorare. Se togliamo questi presupposti, ogni utilizzo dei social network (ma anche di blog o siti) diventa sterile.
Comunicare con il popolo è un atto dovuto e questo vale per le piccole amministrazioni e per le grandi. Nessuno dovrebbe esimersi dal dialogare online con i cittadini.
Quale è la buona comunicazione, allora? È quella che:
- Non utilizza supponenza, offese o silenzi
- Ascolta tutti, dal semplice cittadino al collega politico
- Non censura gli utenti, bloccandoli o cancellandone i commenti
- Utilizza i social conoscendone le potenzialità e le regole
- Risponde quando e dove possibile, con il massimo rispetto per tutti
Bisogna riconoscere che non tutti i soggetti politici hanno il tempo o le competenze per farlo. Ma esiste la soluzione: in questi casi c’è la possibilità di farsi aiutare da un professionista del settore, che cura i rapporti e le comunicazioni con l’esterno, tenendo conto delle famose regole sociali.
Non è una cattiva soluzione, sicuramente eviterebbe errori grossolani come quelli commessi da Gasparri.
Una nota a parte merita il discorso inverso, cioè quando è il cittadino a non rispettare la comunicazione, utilizzando offese, epiteti o attacchi verso il politico: in questo caso io eviterei la polemica, perché non porterebbe a nulla. Le soluzioni potrebbero essere due: ignorare totalmente le offese, senza cancellarle, oppure rispondere utilizzando la massima gentilezza, cosa che il più delle volte spiazzerà l’interlocutore maleducato e porterà alla fine della discussione.
Un approfondimento
Ci sarebbe molto altro da dire su questo argomento. Lascio il resto delle parole a Dino Ameduni, esperto di comunicazione politica di Bari.
Tu hai qualcosa da dire ai nostri politici sul loro uso dei mezzi sociali? E pensi che questo sia un problema tutto italiano? Parliamone nei commenti!
Non credo che sia un problema solo italiano. Certo in Gran Bretagna la democrazia digitale è molto più compresa e attuata, ma per il resto d’Europa la classe politica fa fatica a cedere anche la più piccola briciola di potere. Perché alla fine è di questo che stiamo parlando.